giovedì 30 aprile 2015

"Dislessia" ed etichette diagnostice

    Negli ultimi anni, il termine “dislessia” è entrato sempre più a far parte del nostro vocabolario e il numero dei soggetti con difficolta' di lettura e' in continuo e costante aumento.
    La scuola, da parte sua, ha assunto una veste sempre piu' produttivistica, perdendo di vista la propria funzione educativa e l'importanza di tempi distesi e rilassati nel processo didattico. Se nel 1980 l'apprendimento della lettura e della scrittura avveniva nel primo ciclo (prima e seconda elementare) adesso la corsa al risultato immediato e' diventata imperativo categorico e tre mesi appaiono piu' che sufficienti per un'adeguata competenza. Le attese di efficienza immediata gravano sulle stesse insegnanti che devono apparire come solerti e produttive. I bambini che non riescono a tener il passo degli altri entrano nel circuito morboso della caccia al deficit e, etichettati come “dislessici”, sono sottoposti a “trattamenti” patologico-terapeutici che perdono di vista il confine tra l'ammaestramento e la vera educazione.
    Tutto cio' che non rientra nella media viene ricondotto a un disturbo o a una malattia. La patologizzazione dei presunti “dislessici” permette di collocare le difficolta' dei bambini in un contenitore ben specifico e non richiede spreco di tempo ed energie in ulteriori approfondimenti: sara' sufficiente ricorrere a misure compensative (calcolatrici, lettori vocali, ecc) e dispensative per essere certi di aver svolto al meglio il proprio compito.
    Da un punto di vista squisitamente pedagogico, in realta' le etichette appaiono poco utili: l'obiettivo non e' dare un nome alle difficolta' di Carletto o Lorenzo ma garantire a ciascun bambino appropriate condizioni ed opportunità di apprendimento permettendogli di sperimentare sempre curiosita' e voglia di imparare.
    Attraverso un metodo olistico, che guarda alla globalita' della persona e non solo alla sua difficolta', la pedagogia clinica aiuta la persona a ricostruire il proprio equilibrio psico-emozionale e a soddisfare il bisogno primario di esprimersi. 
    La pedagogia clinica, avvalendosi di modalita' diagnostiche e di intervento pedagogico notevolmente diverse dai procedimenti abitualmente usati, e' in grado di aiutare il soggetto a sfruttare le sue potenzialità, a trovare le risposte pratiche per vincere difficoltà e disagi e a ritrovare il piacere e la gioia di apprendere.